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Instabilità e lussazione della spalla

Cosa si intende per instabilità della spalla?

Si definisce instabilità il sintomo che il paziente avverte quando la spalla non rimane nella sua normale posizione. L’instabilità articolare della spalla può essere favorita da lassità, cioè da una situazione di incapacità a mantenere la spalla in sede per alterazione dello sviluppo osseo, dei tessuti periarticolari, o di ambedue questi elementi. Spesso la spalla si lussa per eventi traumatici o microtraumatici.
La spalla instabile può andare incontro a lussazione (fuoriuscita completa della testa omerale dal suo alloggiamento normale, glenoide della scapola), sublussazione (parziale fuoriuscita della testa omerale) o a dolore in particolari posizioni o movimenti dovuti a spostamenti anormali della testa omerale come in ripetuti gesti sportivi o lavorativi. Quando le lussazioni avvengono ripetutamente, anche a distanza di molto tempo, si parla di lussazione recidivante

Perchè la spalla si lussa?

Quest'articolazione è assolutamente particolare rispetto alle altre dello scheletro umano. La testa omerale, di forma approssimativamente emisferica, è appoggiata a una superficie verticale e solo leggermente concava di circa 3,5 cm di altezza e 2,5 cm di larghezza senza capacità contenitiva. Questa configurazione permette alla spalla di essere la più mobile e di godere una completa escursione nelle 3 direzioni dello spazio, però al contrario ne riduce la stabilità, affidata in parte rilevante alle strutture molli: capsula articolare e labbro glenoideo, legamenti e muscoli con i rispettivi tendini.
 
Per la particolare conformazione e distribuzione anatomica di questi elementi la spalla si lussa più frequentemente in direzione anteroinferiore. In questi casi possono venire provocate lesioni cartilaginee, legamentose, tendinee e anche ossee in funzione della forza e della direzione del trauma, del numero di recidive, della resistenza individuale delle strutture sottoposte a stress.

Quale la fascia d'età più colpita?

La patologia ha maggiore incidenza nella seconda e nella terza decade di vita, più negli uomini che nelle donne, ed è in relazione al completamento dello sviluppo muscolare e articolare e all’esecuzione della massima attività fisica sportiva e lavorativa. Tuttavia, raramente, avvengono lussazioni anche in altre età: in età neonatale, durante l’età adulta o anche anziana.

Come viene effettuata la diagnosi?

La storia clinica della spalla o di entrambe le spalle, la presenza di una lassità diffusa a più articolazioni (vi sono malattie congenite che comportano lassità a tutti i legamenti come la Sindrome di Marfan), la modalità (per traumi importanti o senza traumi apparenti), la frequenza, la concomitanza con particolari movimenti o posizioni del corpo, sono tutti elementi che devono essere valutati.
La visita comporta l’esecuzione di movimenti e particolari manovre che aiutano l’ortopedico a definire le lesioni e a escludere altri disturbi che talvolta coesistono. Particolare attenzione va prestata alla frequente resistenza muscolare di difesa che inconsapevolmente il paziente mette in atto e che ostacola in modo anche importante il completamento della visita. A questo proposito è utile eseguire un esame clinico della spalla anche nel momento immediatamente antecedente l’eventuale intervento chirurgico nel quale, grazie alla anestesia e al rilasciamento muscolare dell’arto, è possibile valutare con precisione la direzione della lussazione. Nel dubbio le indagini strumentali ci permettono di stabilire con certezza il tipo di lesione e la programmazione della terapia.

Quali gli esami strumentali più idonei?

È importante attuare sempre un esame radiologico in occasione di ciascun evento, nelle proiezioni standard e prima di eseguire qualsiasi manovra di riduzione (vedi figura 1). Gli esami strumentali utili per la conferma della diagnosi e per la programmazione chirurgica sono la tomografia assiale computerizzata e la risonanza magnetica. La prima permette di studiare la conformazione, i rapporti articolari e gli eventuali danni ossei dell’omero prossimale e della superficie glenoidea soprattutto per l’eventuale presenza di fratture o distacchi ossei. La risonanza magnetica permette di avere informazioni più complete per le lesioni dei tessuti molli e il trofismo muscolare. In casi particolari, sia la TAC che la risonanza magnetica sono eseguibili anche con mezzo di contrasto iniettato in articolazione per ottenere una migliore rappresentazione e definizione delle strutture e delle zone articolari lese.
 
Esame radiografico di lussazione gleno-omerale anteroinferiore.
Fig. 1 - Esame radiografico di lussazione gleno-omerale anteroinferiore.

 

Quali le opzioni terapeutiche disponibili?

Fortunatamente non tutte le lussazioni richiedono un intervento chirurgico per il recupero completo delle attività del paziente. Il trattamento di prima scelta dopo il primo episodio di lussazione è quello conservativo: riduzione, applicazione di bendaggio e, dopo un periodo di immobilizzazione di alcune settimane, si inizia una progressiva attività di mobilizzazione e rinforzo muscolare, anche utilizzando elastici. Se l’instabilità persistesse e si ripresentassero lussazioni è indicato pensare alla risoluzione chirurgica. L’evoluzione delle tecniche operatorie dell’instabilità di spalla negli ultimi 20 anni ha permesso di rendere sempre più preciso l’intervento e soprattutto di personalizzarlo per le lesioni specifiche e per i singoli pazienti. La decisione su quando eseguire un intervento di riparazione delle lesioni e di rinforzo capsulare (capsuloplastica) viene presa in accordo con il chirurgo. Tuttavia lo stesso paziente avverte a un certo momento la necessità di correggere la situazione per il disagio non più tollerabile nella vita lavorativa e di relazione.

Nella scelta della tecnica di intervento influiscono diversi elementi: età, numero di lussazioni o, in assenza di queste, durata del dolore alla spalla e grado di impedimento durante l’attività sportiva o lavorativa, struttura muscolare, livello di carico durante il lavoro, pratica di sport o attività motorie a livello agonistico o amatoriale. Fondamentale è anche poter escludere la presenza di fratture associate alla lussazione e per questo un esame più approfondito con TAC o RMN può essere di grande utilità.

Artroscopia o interventi tradizionali?

Negli ultimi decenni il miglioramento delle tecniche in artroscopia (accesso all’articolazione mediante piccole incisioni e strumenti dedicati con controllo attraverso microtelecamera) ha portato notevoli miglioramenti nei risultati. Il vantaggio di non incidere i muscoli e la precisione nella riparazione della lesione rendono questa tecnica più adatta a pazienti giovani (dai 15 ai 30 anni), con poche lussazioni o con situazioni di microinstabilità. La tecnica prevede l’utilizzo di “ancorette” che assomigliano a microviti (in titanio o in materiali riassorbibili) dalle quali fuoriescono fili in tessuto non riassorbibile ad alta resistenza che vengono passati e legati attorno alla capsula articolare e al labbro glenoideo per ricreare la normale tensione capsulare (Fig. 2). Da alcuni anni ormai quando possibile utilizziamo con successo ancorette di solo filo in materiale radiotrasparente o riassorbibile, che garantiscono una ottima tenuta sull’osso minimizzando l’invasività chirurgica.
 
Fig. 2: Schema che mostra la spalla in caso di anatomia normale (A), dopo un intervento di capsuloplastica artroscopica con plicature capsulo-labrali da ore 3 a ore 9 (B), e dopo chiusura verticale dell’intervallo dei rotatori sempre in artroscopia (C).
 
Fig. 3 - Immagini artroscopiche dell’intervento chirurgico.
Fig. 3 - Immagini artroscopiche dell’intervento chirurgico.

Questa tecnica non è raccomandabile in caso di fratture associate o di insufficiente resistenza del tessuto capsulare. In queste condizioni la tecnica artroscopica può avere una elevata incidenza di recidive di lussazione. La procedura tradizionale “aperta”, indicata in pazienti che presentano facili lussazioni, prevede invece l’incisione chirurgica di 6-8 cm sulla porzione anteriore della spalla e l’utilizzo di varie tecniche di plastica capsulare che conferiscono la corretta tensione. Tra queste è molto utilizzata la metodica di Latarjet (Fig. 4) che prevede il trasferimento della coracoide sul bordo anteriore della glena, fissata con viti, particolarmente indicata se vi è una lesione della struttura ossea della glena.

Fig. 4 - Tecnica di capsuloplastica secondo Latarjet.
Fig. 4 - Tecnica di capsuloplastica secondo Latarjet.

Tutti questi interventi vengono eseguiti preferibilmente in anestesia combinata (anestesia loco-regionale con o senza sedazione profonda). Prevedono un ricovero di circa 3 o 4 giorni e il mantenimento dell’arto superiore interessato in bendaggio ortopedico per 3-5 settimane. Successivamente viene iniziata la rieducazione funzionale della spalla, inizialmente passiva e successivamente attiva, assistita dal fisioterapista, preferibilmente anche in acqua, che porta dopo circa 6-8 settimane al recupero completo del movimento articolare.

Il ritorno agli sport attivi, soprattutto se “di contatto”, è sconsigliato per almeno sei mesi.
 

Cosa avviene se non si opera?

Questa domanda viene posta spesso in ambulatorio soprattutto da quei pazienti che hanno avuto pochi episodi di lussazione. In linea di massima, man mano che aumenta il numero di lussazioni peggiorano le alterazioni strutturali dell’articolazione e il grado di instabilità della spalla.

 

Autori: Dr. Enrico Guerra e Dr. Alessandro Marinelli, Struttura Complessa di Chirurgia della spalla e del gomito, Istituto Ortopedico Rizzoli.
Scheda revisionata il: 15 Febbraio 2018.

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