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La testimonianza di Lucia colpita a 3 anni da un osteosarcoma

Una lettera di ringraziamento, scritta sulla soglia dei 18 anni, ed il ricordo del percorso compiuto

“Non posso che ricordarti sempre con immenso affetto e tenerezza, perché tu, Rizzoli, per poter essere stato la mia salvezza, sei stato prima di tutto il mio destino”

Lucia ci ha scritto. E’ stato alla soglia dei suoi 18 anni, una tappa che ha coinciso con il termine degli accertamenti al Rizzoli. Una lettera di ringraziamento lasciata al personale del reparto. Una lettera che ha colpito tutti noi e che Lucia ci ha autorizzato a condividere, assieme ad un breve racconto del suo “percorso”: prima un’osteosarcoma al perone quando non aveva ancora 4 anni, quindi all’inizio dell’adolescenza un nuovo intervento, il timore di una recidiva, per fortuna scongiurata dagli accertamenti.

Foto di Lucia da piccola

La lettera

Caro Rizzoli,
finalmente è arrivato anche per me il momento di lasciarti. Il mio “finalmente”, però, non vuole alludere all’abbandono di qualcosa che mi ha danneggiata, anzi. Il mio “finalmente” esprime una vittoria che tu hai reso possibile; una vittoria alla quale tu mi hai condotta. Non tutti, fortunatamente, hanno modo di combattere contro la malattia ma qualcuno, forse Dio, forse il destino, non so precisamente chi, ha voluto mettermi di fronte alla sofferenza e non da adulta bensì all’età di tre anni e mezzo, età durante la quale una bambina dovrebbe solo giocare, divertirsi e trascorrere momenti felici, momenti di socializzazione, momenti in compagnia di altri bambini felici e non assieme a medici, esami radiologici, chemioterapia, operazioni chirurgiche, ingessature e tanto dolore. Tuttavia è capitato. È capitato a me. Probabilmente è ciò che ho visto e vissuto qui dentro che oggi mi rende quella che sono. Ti ringrazio infinitamente perché mi hai ridato la vita, permettendomi di crescere nonostante tutto ciò che mi hai fatto affrontare. Non posso che esserti riconoscente per quanto mi hai arricchita, per quanto mi hai fortificata, per quanta tenacia, determinazione, coraggio e voglia di affrontare gli ostacoli della vita mi hai trasmesso. Lo ripeto, se non ti avessi mai conosciuto non saprei la persona che adesso sarei. Qui dentro ho imparato tanto, ho imparato che la vita bisogna strapparla a morsi, che bisogna apprezzare ogni giorno così come esso sorge, che bisogna amare ciò che si ha perché basta niente e si può perdere tutto, che la vita è solo una probabilità difronte alla malattia. Ho appreso inoltre la forza dell’amore che mi lega ai miei genitori, che li ha resi i miei pilastri anche ad un passo dalla sala operatoria e che me li ha fatti rivedere non appena ho riaperto gli occhi.

Mi hai inciso profonde cicatrici, oltre che fisicamente, anche interiormente che, quotidianamente mi danno la forza di esistere e mi insegnano a lottare per ciò che desidero, per ciò che intendo essere e per affermare me stessa. Ho sperimentato troppa paura, infinita sofferenza al punto che alcune volte ho pregato Dio di portarmi via da questo mondo, ma al tempo stesso mi hai regalato enormi momenti di felicità.

Quel 14 agosto del 2008 non mi hai sottratto una gamba ma me ne hai restituita una migliore, una più pura e questo vale la mia stessa vita. Purtroppo, per non tutti va come dovrebbe andare. C’è chi muore, chi resta in vita ma avrebbe preferito non esserlo, chi si accontenta per come gli è andata, chi si mostra felice ma in realtà ha un macigno pesantissimo di rabbia nel suo animo. Ecco, non posso in alcun modo negare di innervosirmi quando mi fermo a pensare a tutto ciò che ho dovuto affrontare, da così piccola addirittura. Tuttavia se adesso sono a scrivere tali parole non posso né tantomeno dichiararmi insoddisfatta o infelice. Questo è un posto in cui la speranza è il valore numero uno che deve accompagnare chi patisce la malattia, ma grazie all’estrema capacità e professionalità dei tuoi medici, la mia e quella dei miei cari è stata subito trasformata in gioia.

Indubbiamente non posso affermare di voler ritornare qui, però posso dire con assoluta fermezza e convinzione che dirti addio un po’ mi dispiace. Diverse e diverse volte penso al fatto che dalla mia infanzia fino a questa parte almeno una volta all’anno ti sono venuta a trovare e da ora non sarò più tenuta a farlo. Non volevo sparire così, ragione per la quale anche quest’anno sono qui. È ovvio che non si può mettere mai mano al futuro, ma teoricamente questa dovrebbe essere l’ultima delle innumerevoli venute in quest’ospedale, non conoscendo ancora le mie decisioni e ciò che Dio mi riserverà. Di conseguenza preferisco considerare queste parole più come un saluto. Nonostante tutto, mi hai fatto del bene e sei stato, con ciò che mi hai dato e mi hai permesso di conoscere, parte incancellabile e fondamentale di me e della mia crescita. Per questo motivo non posso che ricordarti sempre con immenso affetto e tenerezza, perché tu, Rizzoli, per poter essere stato la mia salvezza, sei stato prima di tutto il mio destino.

Lucia

La lettera di Lucia

La storia di Lucia

Era il febbraio del 2008. Ai miei 4 anni mancavano ancora sei mesi e, consuetamente, dopo cena prima di andare a dormire, io giocavo con il mio papà sul letto matrimoniale alle divertentissime "montagne". L'avevamo denominato così quello svago che io amavo tanto. Mio padre sollevava le ginocchia, fingendo una sorta di montagna che poi crollava nel momento in cui io mi arrampicavo su di essa. Ebbe inizio così la mia lunga storia.

Una sera, per evitarmi una caduta, infatti, il mio papà mi afferrò istintivamente la gamba destra all'altezza del ginocchio. Il mattino seguente a causa dei primi indolenzimenti comunicai a mia madre di non voler andare alla scuola materna. Lei non mi credette o forse, per via del mio frequentare a malincuore, pensò si trattasse di una scusa. I giorni trascorsero ed effettivamente io divenni sempre più irascibile ed irritabile mentre i dolori peggioravano  al punto da impedirmi il contatto della pianta del piede con il pavimento. Fu così che i miei, preoccupati per l'aggravarsi della situazione, decisero di farmi visitare dalla pediatra che, prima di ipotizzare un'osteomielite, accusò scherzosamente mio padre di avermi danneggiato con le sue grandi mani da lavoratore qual è. Oggi, posso affermare che sono state proprio quelle stesse mani a farci prendere per tempo il mio male e a non farmi perdere la vita.

L'ortopedico del mio paese, invece, dopo avermi spedito ad effettuare una prima radiografia pensò ad un callo osseo, conseguenza di una frattura in via di guarigione. Non soddisfatta, mia madre, che non mi ha trascurata un momento e ha lottato insieme a me ogni istante, mi portò nella città di Brindisi dove, un altro pediatra, poco convinto che si trattasse di una frattura che andava rimarginandosi consigliò di recarci presso l'ospedale pediatrico di Bari. È qui che ritennero opportuno farci allontanare per raggiungere l'Istituto Giannina Gaslini di Genova o l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Verso quest'ultimo ci dirigemmo due giorni dopo, l'1 di maggio per l'esattezza, e devo dire che non ci fu scelta migliore di quella.

È al Rizzoli che è stata individuata la via della mia guarigione. Lì, accertato che si trattava di un osteosarcoma al perone destro, fui sottoposta a 12 cicli di chemio pre-operatori e 5 post-operatori. Il 14 agosto fui operata dal magnifico e professionale dottore Marco Manfrini e da altri suoi collaboratori. Mio padre mi accompagnò fra le sue braccia fino alla pre-sala operatoria e restò lì con me fin quando poté.

Nessuno sapeva se avrei conservato entrambi gli arti dopo quelle drammatiche ore, nemmeno i medici, almeno fino a quando non si ritrovarono faccia a faccia con il loro nemico. Ma siccome il Rizzoli è un'eccellenza internazionale – non mi stancherò mai di dirlo – terminato l'intervento mio padre poté, sollevato il lenzuolo che mi copriva, comunicare con un cenno di capo e con le lacrime agli occhi a mia madre, che tornava correndo dalla chiesa dove aveva cercato conforto in Dio, che la mia gamba non era stata amputata e che ce l'avevo fatta.

Nel maggio del 2017, però, una tac ha rivelato la presenza di alcuni noduli nei miei polmoni che, inducendo l'oncologa a sospettare trattarsi di metastasi, hanno fatto sì che ritornassi il mese successivo. Stavo per concludere la seconda media e dopo aver seguito un corso di musica pomeridiano mi sarei dovuta esibire nello spettacolo di fine anno, che si sarebbe tenuto il 6 giugno. Purtroppo, il destino aveva già deciso: quel giorno piuttosto che partecipare a quell'evento mi sarei dovuta sottoporre all'operazione chirurgica ai polmoni. Fortunatamente l'esito della biopsia fu negativo.

Durante la permanenza nella terapia intensiva venne a trovarmi un sacerdote, del quale non ricordo né il nome, né il volto ma le parole che mi rivolse: «Hai gli occhi azzurri come il cielo della Puglia». Quella frase non potrò mai dimenticarla, così come non potrò mai cancellare il bellissimo ricordo dell'umanità del personale del Rizzoli.

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